Ne parleremo con Antonio Martino mercoledì 6 dicembre ore 17,30
(ingresso libero fino ad esaurimento posti)
Dalle guerre dell’oppio al fentanyl: La vendetta del Dragone?
Uno dei temi trattati nel recente incontro Biden e Xi Jinping di San Francisco, è stato il fentanyl, una droga sintetica che ha provocato in 3 anni oltre 200.000 morti negli USA; 4 volte le vittime della guerra del Vietnam. Il Presidente USA ha chiesto al collega cinese di tenere sotto controllo le sostanze basiche che vengono prodotte in Cina, e che le mafie messicane usano per produrre droga con guadagni enormi. Qualcuno ha parlato di vendetta per le guerre dell’oppio. Alla metà dell’800 la Gran Bretagna impose all’impero cinese di importare enormi quantità di oppio per equilibrare la bilancia commerciale cino - inglese. Sono cose molto diverse; la Gran Bretagna usò le cannoniere per imporre tale politica, la Cina, per il momento, non minaccia nessuno. Uguale però, o almeno simile è il risultato. Allora centinaia di migliaia di cinesi, come oggi di americani, morirono o vissero una vita da zombi. Non a caso per i cinesi, le guerre dell’oppio sono una svolta cruciale nella loro storia. L’inizio del “secolo delle umiliazioni” che videro la regina Vittoria diventare il più grande pusher della storia a capo di uno stato che, ufficialmente, e con la forza delle armi ha favorito la diffusione di una droga letale.
Julia Lowell, una studiosa inglese ha scritto un corposo e documentato testo sul tema: “La guerra dell’oppio e la nascita della Cina moderna”. L’autrice va al di là dei luoghi comuni ed in 400 pagine analizza i vari aspetti della complessa questione che vide la prima guerra tra un paese europeo e il millenario impero cinese.
Per una più completa comprensione dei problemi in ballo, interessante è questo breve, ma intenso saggio. Scritto nel 1977, in francese, dalla commissione del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese che si occupava delle relazioni con il resto del mondo, ci aiuta a capire quale era la lettura della guerra dell’oppio, nell’ambito della ortodossia del MAOZEDONG pensiero.
Prossimo Incontro previsto giovedì 30 novembre 2023 ore 17.00
Un romanzo struggente che può fare per la Palestina ciò che Il cacciatore di aquiloni ha fatto per l'Afghanistan. Racconta con sensibilità e pacatezza la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di senza patria. Attraverso la voce di Amal, la brillante nipotina del patriarca della famiglia Abulheja, viviamo l'abbandono della casa dei suoi antenati di 'Ain Hod, nel 1948, per il campo profughi di Jenin. Assistiamo alle drammatiche vicende dei suoi due fratelli, costretti a diventare nemici: il primo rapito da neonato e diventato un soldato israeliano, il secondo che invece consacra la sua esistenza alla causa palestinese. In parallelo si snoda la storia di Amal: l'infanzia, gli amori, i lutti, il matrimonio, la maternità e, infine, il suo bisogno di condividere questa storia con la figlia, per preservare il suo più grande amore. La storia della Palestina, intrecciata alle vicende di una famiglia che diventa simbolo delle famiglie palestinesi, si snoda nell'arco di quasi sessant'anni, attraverso gli episodi che hanno segnato la nascita di uno stato e la fine di un altro. In primo piano c'è la tragedia dell'esilio, la guerra, la perdita della terra e degli affetti, la vita nei campi profughi, condannati a sopravvivere in attesa di una svolta. L'autrice non cerca i colpevoli tra gli israeliani, racconta la storia di tante vittime capaci di andare avanti solo grazie all'amore.
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